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"Coltivare la memoria

è una disciplina della volontà.

Rileggere una vita intera

può rivelarsi un lavoro assai duro

ma il premio finale

è capire noi stessi, trovare

il coraggio di convivere

con le proprie verità.

E di coraggio ne occorre molto

perchè, per sua natura, la verità

è scomoda"

 

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In tempi di consumismo veloce, di allergia ai sentimentalismi e di insofferenza alle responsabilità, fare i conti con il proprio vissuto non è esercizio frequente, soprattutto se i ricordi rischiano di rivelarsi forieri di rimorsi e rimpianti.
Contro la tendenza che spinge alla ricerca di una vita facile, in cui l’imperativo è andare avanti perché guardarsi indietro è inutile, Il colore dei ricordi di Massimo Tirinelli dimostra che un raccoglimento in sé come meditazione sul proprio passato è un esercizio introspettivo suscettibile non solo di forti emozioni, ma anche di cambiamentireali, attraverso i quali ci si può liberare di ciò che non ci appartiene davvero.
“Rileggere una vita intera può rivelarsi un lavoro assai duro ma il premio finale è capire noi stessi, trovare il coraggio di convivere con la propria verità. E di coraggio ne occorre molto perché, per sua natura, la verità è scomoda” si legge nel libro. Passato e presente spesso si sovrappongono, si contrastano, si illuminano l’un l’altro; soprattutto di fronte alla morte di una persona cara, la memoria diviene unico rimedio possibile alla solitudine, bene intimo e prezioso al quale nessun’altro può partecipare.
Così Dario, un quarantenne impiegato in banca, sposato e con un figlio, ricorda la sua trentennale amicizia con Matteo: un’amicizia profonda e conflittuale, dalla sua fase aurorale sui banchi di scuola nei lontani anni’70 a quella più matura, fino al doloroso momento della separazione.
Insicuro e introverso l’uno,  coraggioso e idealista l’altro, Dario e Matteo sono a prima vista diversi in tutto, anche nell’aspetto fisico e nella classe sociale di appartenenza. A renderli complici, una profonda sensibilità e inquietudine interiore che li spingono a confrontarsi tra loro e talvolta a rivolgersi critiche e rimproveri, solitamente banditi dai rapporti con i normali conoscenti, coi quali ci si limita il più delle volte a intrattenersi in conversazioni formali, scandite da superficiali ovvietà e frasi di circostanza.
Accanto al protagonista vediamo una donna incapace di comprendere il suo dolore, una donna che forse rappresenta l’incarnazione stessa degli errori passati di Dario, visto che, nel suo ostinato perbenismo, sembra essere la perfetta antagonista dell’amico…
Attraverso una memoria permeata da un dolore impietoso, Dario rivive la tensione della propria giovinezza, in cui si parlava con entusiasmo di politica, di interiorità, di ideali e di ribellione. Egli non si limita a lasciar vivere Matteo in ricordi occasionali, ma vuole intenzionalmente ricordarlo per non lasciarlo morire. Richiamare alla mente l’amico diviene inoltre un‘occasione per riattraversare le tappe più significative delle propria esistenza: la scuola, le feste, le prime vacanze senza i genitori, i primi approcci con l’altro sesso…
Difficile dire, al di là delle definizioni di forma, chi sia il vero protagonista della storia: il personaggio principale è indubbiamente Dario, ma forse lo è anche Matteo, il suo interlocutore ideale. Essi vivono l’un l’altro, sono l’uno il protagonista e il riflesso della vita dell’altro. Tra tenerezze e affettuosità appena accennate, litigi e incomprensioni, i due talvolta si allontanano ma finiscono sempre col cercarsi e ritrovarsi, e ogni loro incontro è una conferma del fatto che non si sono mai persi davvero.
Talvolta il confronto può generare invidia, gelosia, senso di inadeguatezza, orgogliosa incapacità di ammettere la propria ammirazione per i successi e il talento dell’altro, soprattutto durante l’adolescenza, quando il bisogno di amicizia è maggiore, e più sentita e lacerante diviene la paura che non sia corrisposta.
Quella che, con garbo e sensibilità, l’autore sottopone alla nostra attenzione, è una storia semplice eppure universale, rappresentativa di un modo di sentire comune a molti ma spesso sottaciuto, accompagnato da un senso diffuso di smarrimento e di sgomento.
Una storia di amicizia giocata sul contrasto tra due pulsioni: quella alla manifestazione dei propri sentimenti e quella della reticenza, che agitano ciascuno di noi. Tirinelli sospende il giudizio, lasciando che sia la sua stessa scrittura sobria e corposa a raccontare le ambiguità della vita.
Già Aristotele nell’Etica Nicomachea definiva l’amicizia “cosa necessarissima” e molti sono i libri che ne hanno celebrato l’importanza: Io non ho paura di Nicola Ammaniti, Le avventure di Hucleberry Finn di Mark Twain, L’amico ritrovato di Fred Uhlman, Dietro la porta di Giorgio Bassani, L’amicizia di Tahar Ben Jelloun, Storia di un’amicizia di Aldo Palazzeschi.
La parola “amicizia” non ha un solo significato, ma tanti, e forse non appare così distante dall’amore come le convenzioni vorrebbero far credere, soprattutto se quest’ultimo è inteso come ricerca di un alter ego con cui condividere sentimenti e ideali profondi.
Riconoscersi tra “anime affini” significa semplicemente essere amici o anche amarsi?
Dietro questo dilemma se ne cela un altro, quello tra eterosessualità e omosessualità: se la prima assicura una vita relativamente tranquilla e socialmente accettata, la seconda obbliga a dolorose prese di coscienza e a scelte coraggiose.
In questo libro si accenna a un’omosessualità sfiorata, latente, possibile, tratteggiata con straordinaria levità.
è importante che ci sia una letteratura che racconti storie come questa, giacchè l’infelicità e la vergogna di chi si scopre omosessuale sono ancora una realtà. Negli ultimi anni è innegabile una maggiore attenzione nell’editoria italiana a questo tema: un’apertura che, rispetto al silenzio degli anni precedenti, sembra una rivoluzione.
Questo di Massimo Tirinelli è dunque un libro contro le definizioni che stritolano i sentimenti, contro le inibizioni che non lasciano fluire liberamente i pensieri ed emozioni.
Dopo la morte di Matteo, Dario capisce di non aver vissuto pienamente, di essere stato bloccato dalla scarsa fiducia in sé, di essersi cullato in una falsa felicità, come l’amico spesso gli rimproverava. Sentimenti negati e inespressi per anni tornano prepotentemente ad imporsi, perché, come si legge nel romanzo: “Il tempo marcia con la sua logica ineluttabile lungo la strada circolare: per quanti giri complessi possa fare, torna sempre al punto di partenza.”
Tornare al punto di partenza significa affermare finalmente se stessi e accettare la verità senza paura; così il ricordo del proprio migliore amico non annega semplicemente in un rimpianto, ma diviene stimolo per la ricerca di un senso autentico da restituire alla vita.

Alessandra Simonetti